venerdì 28 ottobre 2011

Io so cos'è l'amore - Capitolo 6 - Alexander





“E poi un giorno ho capito che anch’io potevo amare davvero, perché l'amore era così dentro il mio cuore da non esistere più nella mia mente, l'amore non esisteva più, perché io stesso ero Amore”.


Alexander penetra nelle profondità di queste parole. Scruta la copertina del libro che legge, una scritta “Il principe prigioniero”, e un’immagine, di un principe, un viaggiatore, con occhi di fuoco e lo sguardo segnato da un profondo senso di solitudine, una solitudine volontaria.

“L’amore esiste? No, non nella mia vita. Non per una donna.

Ho sognato di essere una stella. E di brillare sempre su di te, nei secoli dei secoli, dovunque tu andrai, con chiunque tu sarai, qualunque cosa tu farai. Io ti avrei amato. Per sempre.

Perché “per sempre” esiste, vero? No. Non per me.

Avrei voluto essere un albero. Come gli alberi ti avrei dato riparo dalla pioggia, ristoro dalla calura del sole, nutrito con i miei frutti, dato colore alla tua stanza con i miei fiori, asciugato le tue lacrime nei momenti di sconforto che la vita dona a tutti, lasciando un senso di pace nel tuo cuore ogni qualvolta mi avresti abbracciato.

Ti ho visto con un altro. E ho pensato che forse eri felice.
Il mio cuore non era d’accordo. E ho pensato che non potremo mai esserlo, felici intendo, lontani l’una dall’altro.

Ma tu corri Chiara, e non ti fermi mai. Nemmeno per ascoltare il tuo cuore.

Hai preferito pensare che noi non ci amassimo. Hai forse pensato che l’amore deve essere come quello che Walt Disney ci ha raccontato in Cenerentola, o in Biancaneve.

Ma lo zio Walt, di proposito, non ci ha concesso di vedere Cenerentola che si lamenta perché il principe è disordinato, o il principe che protesta perché Cenerentola quando lui torna a casa dal lavoro (si anche i principi lavorano, se non altro per non annoiarsi) lei è sempre vestita da zitella.

Cos’è l’amore Chiara? Io non lo so. Non lo so più. 

So solo che mi ricordo le tue faccine buffe, i tuoi scherzi, le tue tenerezze, non posso dimenticare tutte le cose che solo io potevo vedere, quello da cui tutto il mondo stava fuori. Loro potevano contemplare i tuoi meravigliosi occhi, il tuo sorriso, capace di addolcire persino il più duro dei cuori, o rimanere ammaliati innanzi alla geometria perfetta delle tue forme.  Non possono però vedere dentro il tuo cuore, e sbirciare, come un bambino pieno di curiosità ed entusiasmo in quella piccola stanzetta, dove tu eri imprescindibilmente te stessa.

Ma tu hai avuto paura, e hai deciso di chiudere quella stanza, e di dimenticarti dove hai  messo la chiave che la apre.

E ora mi manchi Chiara. Vorrei non piangere. Le mie lacrime sono così amare, sai?
Perché?

Io non so cos’è bene l’amore. Non ne so parlare.

Ma nel mio cuore sento che, senza amore, l’universo intero smetterebbe di muoversi”.

- Raffaele Ranieri – tutti i diritti riservati

domenica 23 ottobre 2011

Io so cos'è l'amore - Capitolo 5 - Il pianto di Chiara



Chiara scappa. Corre. Il cuore implode dentro di lei.
Chiara non pensa. Chiara non ama. Chiara vuole sparire.

Corre. Come se volasse.
No. Chiara precipita, nell'inganno, nei falsi sentimenti.
Chiara viene inghiottita dalle sue paure.

E poi non pensa più a Jacques. Nè a Giada. Lì insieme.
Attori inconsapevoli o consapevoli della loro più grande interpretazione: il loro matrimonio, sul palcoscenico della vita, innanzi a una graziosa chiesetta bagnata dal Naviglio, innanzi alla loro più beneamata spettatrice: Chiara.
Felicemente ingannano loro stessi.
Consacrando la loro unione innanzi a un Dio che non conoscono e dimenticano.

Jacques e Giada. Polarità arcane di mondi opposti, la donna e l'uomo, yin e yang.
Fuga estemporanea da un mondo di sofferenza.

Giada. Intelletto e ragione. Equilibrio e serenità, come l'acqua statica di un lago.
Jacques. Emozioni e cuore. Senza alcun controllo, nè logica alcuna. Come un torrente che impetuoso discende la montagna, senza fermarsi, incurante di ogni cosa, se non il suo scorrere incessante.

Jaques. Sogno di cristallo infranto in una tiepida mattina d'autunno.

"Perchè? Perchè sono così fragile? Ho distrutto tutto. Ogni singola cosa. Sono fuggita dall'amore. Quello che avevo dentro di me. L'ho imprigionato nella più profonda delle segrete. Senza pietà. Ho avuto paura. Ho corso. Ho inseguito le chimere di questo mondo. Un mondo che non è più per noi.
Un mondo che non è più per gli uomini. Un mondo che non vuole più arrendersi all'amore. Su cui l'odio tenta di dilagare. E lo vediamo. In ogni istante. Persino la nostra terra si ribella a noi, tremando con vigore, innalzando sino a confondersi col cielo le onde del mare.
Jacques. Come sono stupida. Come siamo stupidi. Ho creduto di amarti in un istante. Ho creduto che le nostre anime si sarebbero fuse in una. Ti ho donato me stessa. Il mio corpo. Ma non il mio cuore. Anche se ho creduto di farlo.
Vedi, Jacques, io non so più dov'è il mio cuore. Perchè continuo a volerlo non vedere.
Eppure lui continua a battere, palpitare e pulsare musicalmente. Lì, quì davanti a me, urlando: -Chiara!! Svegliati, sono qui, solo qui troverai il significato più profondo dell'amore! Perchè scappi? Dove vuoi andare?-
Non lo so, Cuor mio. Non lo so. Io... non so  più chi sono... Chiara? Sono un nome? O sono il mio corpo? O questa testa che pensa?
Non voglio più pensare. Non voglio più nessun uomo. Non voglio più.. amare?
Cos'è la vita senza l'amore?"

Chiara lascia automaticamente che la sua mano esplori la tasca dei suoi jeans, ne estrae un foglietto, consunto. Sulla carta impresse le parole di colui a cui, in un passato che sembra così lontano, con Cuore aperto, chiese un figlio.

Chiara ancora una volta le legge, lascia che esse la rapiscano, per portarla in un mondo di luce, ancora una volta, per un fugace istante, senza tempo e senza spazio:


coglierti come una rosa
essere la fonte che ti disseta

inebriarmi della tua anima
avvolgerti in un abbraccio di infinito amore


amami senza tempo e senza spazio
ti condurrò oltre la soglia dell'eternità



Chiara. E le sue lacrime.
Le sente scorrere. Perle incolore, senza consistenza, discendono lungo la nostra esistenza, affinchè non ne dimentichiamo il suo sapore talvolta amaro.
Chiara ora non vuole più pensare. Non ora. Chiara non vuole ascoltare il suo Cuore.
Chiara adesso vuole solo piangere.

Raffaele Ranieri - tutti i diritti riservati

giovedì 6 ottobre 2011

Io so cos'è l'amore - Capitolo 4 - Susanna


Susanna scruta i due coniugi nell’atto del baciarsi.
Dietro di loro una Chiesa. Nella casa di Dio, innanzi al Signore si sono giurati amore eterno, e hanno assunto reciprocamente degli impegni.
Si sono promessi fedeltà, “per sempre”, perché “per sempre”, naturalmente esiste.

Susanna pensa per un attimo che, in fin dei conti, non hanno infranto nessuna promessa.
Loro infatti, infedeli, lo sono stati prima. Ora continueranno a esserlo?

La sua mente e il suo sguardo ritornano sul loro bacio che pare non finire.
Ricorda poi una frase che ha letto in passato: “Nessuno concede un bacio a nessuno. Esso è un portale verso l’infinito che si genera, agli occhi degli amanti, irrazionalmente. Esso rinsalda un legame tra due anime che sono già state e comunica ciò che il nostro io cosciente non e’ in grado di cogliere. Al di fuori di questo il bacio è un mero sovrapporre le labbra, quand’anche possa generare eros”.

Cosa rappresenta quel bacio di due sposi e che scuote le sue emozioni?

Per un attimo è indotta a pensare che sua sorella e Jacques stiano sovrapponendo le labbra e che in quell’istante, forse, abbiano percepito di non amarsi.

Che senso ha il matrimonio? Quale il senso di un ostentato e metaforico proclama di amore eterno e universale?
L’amore esiste?

Susanna non lo sa. Non più. E’ confusa. Credeva di aver compreso. Nei suoi lapidari giudizi si radicava la convinzione di cogliere il senso del bene e del male, di giusto e di sbagliato.

Adesso, di fronte al coronamento della follia e dell’assurdità del comportamento umano, Susanna osserva le sue mani, poi fruga convulsamente nella sua borsetta.
I suoi giudizi sono scomparsi, le sue certezze evaporate, Susanna ha trovato solo domande.

Eppure è tutto così spaventosamente chiaro. Tutto così meravigliosamente kafkiano.
Si, ecco, è la protagonista di questo inedito racconto kafkiano, la cui trama si snoda convulsamente tra le vie di una metropoli italiana, fino ad esplodere e giungere al suo apogeo di assurdità sul palco di una piccola Chiesa bagnata da un naviglio.

Susanna non può non domandarsi in cosa consista la suddetta prerogativa, ossia la “kafkianità” della situazione, che la vede indiscussa regina. Non certo nel duplice tradimento dei novelli sposi. Non sarebbe poi così inconsueto.

Di certo più singolare che la coppia appena consacrata nel nome del Signore del cielo e della terra, abbia avuto la medesima amante. E che quella medesima amante ora sia lì che li osserva da un ponticello, con gli occhi rigonfi di lacrime.

Per chi starà piangendo si domanda Susanna? Per Jacques? Per sua sorella? Per entrambi?
No. Forse lei non piange per nessuno di loro. Chiara piange per se stessa.

E forse dovrebbe piangere anche lei, testimone eccezionale e involontaria di due tradimenti di due futuri sposi, ladra inconsapevole di attimi d’intimità rubata, di baci appassionati concessi da Jacques e da Giada alla medesima, bellissima donna.
Susanna ha capito di non essere né giudice né giurato. Dalla borsa estrae una copia de “Il principe prigioniero”.
E mentre tutti gioiscono lei è lì, in un angolo, non percepita, quasi invisibile e oscurata dal suo desiderio di solitudine.

Apre il libro, mentre la prima lacrima si abbandona alla legge di gravità.
Le pagine corrono casualmente, impazienti di portare un qualunque messaggio a questa creatura che soffre: E se adesso ti toccassi, sfiorassi delicatamente il tuo viso? Se mi manifestassi a te? Cosa penseresti? FOLLIA? Allucinazioni? Suggestione? Via dimmi, cosa è…..
REALE
Principe amore mio,
non temere questa magia
questo sogno è solo alchimia.

Principe amore mio,
risveglia il tuo cuore,
che questa tragedia riveli il tuo amore.
Ma dove mi trovo dunque? E tu? Tu che mi scruti incredulo dal tuo mondo di immutabili certezze e indicibili atrocità, chi sei?”.

“E’ così. Chi sono io? Sono Susanna? Sono un nome? E che senso ha il mio essere qui?
Dal mio scranno ho guardato il mondo con superiorità. Ho sempre avuto un senso assoluto del bene e del male, ma il mio senso, il senso di una società che in fondo mi disgusta. Si è così.
Guardo questo film che è la mia vita, e ora siamo alla scena delle nozze di Giada e di Jacques.
Io incredula li guardo, dal mio mondo, fatto di immutabili certezze e di indicibili atrocità.
Io li disprezzo. Mi fanno schifo. Odio la loro ipocrisia, la loro debolezza.
Come hanno potuto cadere in questo abisso?
La verità è che io non li odio. Non importa quello che hanno fatto. O forse importa. Ma non sta a me decidere. Chi sono io in fondo? E cosa ho veramente capito del mondo? Degli esseri umani? E soprattutto io, ho capito cosa davvero significa amare?
Non ho risposte. Ho solo domande”.
Questo fiume impetuoso di pensieri viene interrotto, perché invero qualcuno si accorge che Susanna esiste, e la richiama ai suoi doveri di invitata sociale.

Il suo corpo inconsistente si confonde ora nella calca degli invitati che a breve banchetteranno.
Susanna siede in auto, e prima di chiudere gli occhi e assopirsi pensa: “Parlerò a tutti e due”.


Raffaele Ranieri – tutti i diritti riservati-