giovedì 6 ottobre 2011

Io so cos'è l'amore - Capitolo 4 - Susanna


Susanna scruta i due coniugi nell’atto del baciarsi.
Dietro di loro una Chiesa. Nella casa di Dio, innanzi al Signore si sono giurati amore eterno, e hanno assunto reciprocamente degli impegni.
Si sono promessi fedeltà, “per sempre”, perché “per sempre”, naturalmente esiste.

Susanna pensa per un attimo che, in fin dei conti, non hanno infranto nessuna promessa.
Loro infatti, infedeli, lo sono stati prima. Ora continueranno a esserlo?

La sua mente e il suo sguardo ritornano sul loro bacio che pare non finire.
Ricorda poi una frase che ha letto in passato: “Nessuno concede un bacio a nessuno. Esso è un portale verso l’infinito che si genera, agli occhi degli amanti, irrazionalmente. Esso rinsalda un legame tra due anime che sono già state e comunica ciò che il nostro io cosciente non e’ in grado di cogliere. Al di fuori di questo il bacio è un mero sovrapporre le labbra, quand’anche possa generare eros”.

Cosa rappresenta quel bacio di due sposi e che scuote le sue emozioni?

Per un attimo è indotta a pensare che sua sorella e Jacques stiano sovrapponendo le labbra e che in quell’istante, forse, abbiano percepito di non amarsi.

Che senso ha il matrimonio? Quale il senso di un ostentato e metaforico proclama di amore eterno e universale?
L’amore esiste?

Susanna non lo sa. Non più. E’ confusa. Credeva di aver compreso. Nei suoi lapidari giudizi si radicava la convinzione di cogliere il senso del bene e del male, di giusto e di sbagliato.

Adesso, di fronte al coronamento della follia e dell’assurdità del comportamento umano, Susanna osserva le sue mani, poi fruga convulsamente nella sua borsetta.
I suoi giudizi sono scomparsi, le sue certezze evaporate, Susanna ha trovato solo domande.

Eppure è tutto così spaventosamente chiaro. Tutto così meravigliosamente kafkiano.
Si, ecco, è la protagonista di questo inedito racconto kafkiano, la cui trama si snoda convulsamente tra le vie di una metropoli italiana, fino ad esplodere e giungere al suo apogeo di assurdità sul palco di una piccola Chiesa bagnata da un naviglio.

Susanna non può non domandarsi in cosa consista la suddetta prerogativa, ossia la “kafkianità” della situazione, che la vede indiscussa regina. Non certo nel duplice tradimento dei novelli sposi. Non sarebbe poi così inconsueto.

Di certo più singolare che la coppia appena consacrata nel nome del Signore del cielo e della terra, abbia avuto la medesima amante. E che quella medesima amante ora sia lì che li osserva da un ponticello, con gli occhi rigonfi di lacrime.

Per chi starà piangendo si domanda Susanna? Per Jacques? Per sua sorella? Per entrambi?
No. Forse lei non piange per nessuno di loro. Chiara piange per se stessa.

E forse dovrebbe piangere anche lei, testimone eccezionale e involontaria di due tradimenti di due futuri sposi, ladra inconsapevole di attimi d’intimità rubata, di baci appassionati concessi da Jacques e da Giada alla medesima, bellissima donna.
Susanna ha capito di non essere né giudice né giurato. Dalla borsa estrae una copia de “Il principe prigioniero”.
E mentre tutti gioiscono lei è lì, in un angolo, non percepita, quasi invisibile e oscurata dal suo desiderio di solitudine.

Apre il libro, mentre la prima lacrima si abbandona alla legge di gravità.
Le pagine corrono casualmente, impazienti di portare un qualunque messaggio a questa creatura che soffre: E se adesso ti toccassi, sfiorassi delicatamente il tuo viso? Se mi manifestassi a te? Cosa penseresti? FOLLIA? Allucinazioni? Suggestione? Via dimmi, cosa è…..
REALE
Principe amore mio,
non temere questa magia
questo sogno è solo alchimia.

Principe amore mio,
risveglia il tuo cuore,
che questa tragedia riveli il tuo amore.
Ma dove mi trovo dunque? E tu? Tu che mi scruti incredulo dal tuo mondo di immutabili certezze e indicibili atrocità, chi sei?”.

“E’ così. Chi sono io? Sono Susanna? Sono un nome? E che senso ha il mio essere qui?
Dal mio scranno ho guardato il mondo con superiorità. Ho sempre avuto un senso assoluto del bene e del male, ma il mio senso, il senso di una società che in fondo mi disgusta. Si è così.
Guardo questo film che è la mia vita, e ora siamo alla scena delle nozze di Giada e di Jacques.
Io incredula li guardo, dal mio mondo, fatto di immutabili certezze e di indicibili atrocità.
Io li disprezzo. Mi fanno schifo. Odio la loro ipocrisia, la loro debolezza.
Come hanno potuto cadere in questo abisso?
La verità è che io non li odio. Non importa quello che hanno fatto. O forse importa. Ma non sta a me decidere. Chi sono io in fondo? E cosa ho veramente capito del mondo? Degli esseri umani? E soprattutto io, ho capito cosa davvero significa amare?
Non ho risposte. Ho solo domande”.
Questo fiume impetuoso di pensieri viene interrotto, perché invero qualcuno si accorge che Susanna esiste, e la richiama ai suoi doveri di invitata sociale.

Il suo corpo inconsistente si confonde ora nella calca degli invitati che a breve banchetteranno.
Susanna siede in auto, e prima di chiudere gli occhi e assopirsi pensa: “Parlerò a tutti e due”.


Raffaele Ranieri – tutti i diritti riservati-




1 commento:

  1. "Conosco una sola cosa che sia al contempo molto semplice e molto complicata. L'amore" (G. Musso)
    Senza di esso non è tanto il desiderio di avere qualcuno con sé che manca, quanto la fiducia nella vita. Perché l'Amore è quella speranza che può restiuire la fiducia di vivere, quell'ultima speranza che resta a uomo senza speranza

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