lunedì 12 settembre 2011

Il ristorante da sogno



Due microcosmi. Yin e Yang. Il bene ed il Male. Non chiedete. Non domandate. Non so dire, in quale dei due ora io sia.

Qualcuno nell’etere virtuale percuote un pianoforte, ne trae musica jazz, che si riversa, picchiettando, sul mio capo.
Innanzi a me, adagiate su sedie in ebano, due donne, belle, affascinanti.
Vedo l’altro mondo. Uno dei due, quello che è altro da me.
Due tende drappeggiate separano i due mondi, io sul sipario dove si dipana la mia esistenza.

Vedo l’altro mondo. Cosmico movimento scandito da uomini d’affari.
Epicentro costituito da una botte che in grembo porta una moltitudine di tappi di sughero.
Troneggia un’antica e vermiglia macchina per affettare succulente cosce di ciò che una volta è stata vita pulsante.

Ma ora il mio mondo. Quello che è in me. Sono intimamente parte di esso. Confinato in questa isola balzana. Perché solo loro possono unire i due mondi. Solo il cameriere traghettatore di cibo e di anime può varcare la soglia di entrambi i mondi. Unica via di fuga in questa prigione di apparenze.

E poi giunge infine. Trambusto di pensieri ingombranti fagocitato dalle portate.
Magiche pietanze assumono forme sensibili: ravioli caserecci con ripieno di ricotta e borragine con brunoise di pomodori. Le altre restano a voi ignote. Rapito dalla voluttà delle mie viscere mi dissolvo. Ma tornerò.

Tempus fugit…

 Eccomi. quieora. Nuovamente incantato dalla musica. Estasi momentanea. Dono di una delicatezza di ravioli, isole di piacere consumate avidamente dalla mia bocca. Trascinato e confuso. Musica romantica, soave, poi incalzante. Mi abbandono al suo oblio ipnotico.
E poi il purè. Inebriante purè di mele donatomi da una delle mie ancelle.
E poi il mio sguardo che fugge. O sono io a fuggire? Perso nella contemplazione di un cuscino finemente lavorato? Intarsiato un albero si sviluppa da un ignoto epicentro e mi inebria di logos.

Meraviglioso mondo, microcosmo di sogni perduti. Vaga la mente tra i suoi abitanti. Abitanti di questo luogo di mattonelle e legno, vezzeggiato da stelle di luce fioca che pendono dal nulla, caravelle che ondeggiano nell’oscurità dell’oceano.

 E poi vedo lui. Nell’altro mondo. Si, lui. Il demiurgo. Legge con attenzione il libro delle opere, quasi divinità epicurea, ignara o indifferente al rumore di vino e di voci della sua creazione.
Lui è lì, figura plastica e surreale.
Ma, in fondo, questo. E’ solo un sogno.

   Come? Come comprendere?

Tiramisù. Prova definitiva di verità.
Maestoso ed impetuoso come acqua che irrompe da una diga, inebria le membra di questo spirito che invoca con fioca forze e tenue luce il traghettatore Caronte.
Si qui. Ecco le mie due monete d’argento.

Caronte apre la sua mano, e la mia visa si adagia sul suo palmo.
Giunto alla sua conclusione, viaggio onirico di una sera mai iniziata.
Presto sarò nuovamente sul Naviglio.


 © Raffaele Ranieri

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