giovedì 20 settembre 2012

La città dei blocchi



Washington è una città fatta di blocchi. Non è la sola. Non è questo il punto.
Il punto è che quando sei italiano non pensi in blocchi tutto qua.
E quando ti dicono che un posto, ad esempio, dista 10 blocchi, tu allora pensi: “Bè, che vuoi che sia, è vicino”.
Ma non è proprio così. Un blocco è un blocco. Insomma, 10 blocchi, ad esempio, sono una bella camminata.

Ieri sera era tardi, sono uscito dallo studio affaticato, solo.

Ho camminato verso la fermata del pullman, perdendolo. Il prossimo era dopo un sacco di tempo. Casa mia dopo un sacco di blocchi. 30 blocchi. Un bel camminare per chi conosce i blocchi.

Prima vi ho detto che 10 blocchi sono molti, 30 del tutto insostenibili o a mala pena sostenibili, qui direbbero  “barely”.

La situazione era ottimale: portafoglio a casa, pullman perso, senza la minima idea di quando sarebbe passato il prossimo.

Ho cominciato a camminare verso casa, del resto i blocchi altrimenti sarebbero sempre rimasti 30. Invece così potevo contare: 29, 28, 27, ma, ovviamente, con un ritmo più prossimo alla velocità di un uomo stanco.

La strada sotto i miei piedi cambiava con una lentezza quasi intollerabile, così come era intollerabile che a casa non avevo nulla da mangiare.

Poi ho pensato che quando sono uscito dall’ingresso dello studio, esattamente in quello stesso istante, si è alzata una folata di vento.

Io mi sono guardato intorno. Ho visto la sera. La giornata che era finita. Mi sono sentito come in quei film americani (guarda caso), in cui gli avvocati escono tardissimo, soli e solitari, con occhi malinconici, mentre si avviano in un locale, uno di quei locali che sempre si vedono nei film (e che esistono davvero) e dove ti siedi al bancone e ordini da bere, facendo due chiacchere con uno o una che come te esce dall’ufficio mentre si alzano folate di vento, accorgendosi che è sera.

Io però sono andato verso a casa. Niente locali, niente alcol (sono astemio), niente donne da sedurre.

La mia mente ovviamente correva come una nuvola. Mi chiedevo se le nuvole fossero libere, o se, al contrario, sospinte dal vento, fossero schiave. Dove sta la libertà, nella scelta o, nella non scelta? Insomma, pensavo.

Pensavo e osservavo. Le vetrine dei negozi. I locali dove, come ogni sera, qualcuno consumava le proprie speranze amorose in un mondo di parvenze, attori inconsapevoli del film della propria vita.

Poi ho visto una coppia che si teneva per mano. Due ragazzini che correvano. E poi pensavo ancora; forse camminando rischiavo che il pullman mi passasse davanti e io i 30 blocchi me li facevo tutti insomma.

Forse volevo piangere, ma poi ho alzato gli occhi, per sbaglio. Incredibilmente sopra di me c’era il cielo e la luna e persino qualche stella.

Allora è svanito tutto. Persino i blocchi. Io stavo fermo e tutto si muoveva.

Ridevo, felice e libero. Come una nuvola.

Sono arrivato a casa alla fine. Avevo sete, sorridevo ancora, ridevo.

Ho preso un bicchiere. Mi è sfuggito dalle mani. Lui, bicchiere, così delicato, ha attraversato lo spazio, obbedendo alla forza di gravità, ma non si è rotto.

Ed io ho sorriso, libero e felice.

-Raffaele Ranieri – tutti i diritti riservati-

1 commento:

  1. Che bel racconto! Mi sembrava di passeggiare con te fra quei "blocchi".... Il riferimento alla forza di gravità.... Eccezionale... La felicità si legge anche tra le righe del web...

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